Sabato 17 ottobre 2015, alle ore 18.00, si inaugura la mostra di Gennaro Fusco, a cura di Veronica Longo, all’Atelier Controsegno, in Via Napoli 201, Pozzuoli, Napoli (nei pressi della stazione cumana Dazio). Lo spazio artistico propone per la prima volta una personale di fotografia; per l’occasione la danzatrice Martina Coppeto si esibirà in un’inedita performance di teatro-danza Labirinto, da lei creata e coreografata per questo speciale evento.
Nella sua celebre opera Il piccolo principe pubblicata nel 1943, Antoine de Saint-Exupéry scriveva: «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi».
Non potrebbe esserci frase più adatta per le opere di Gennaro Fusco che, partendo dalla sua grande sensibilità, mostrano ciò che non sempre appare evidente al primo sguardo.
Ecco come la nostra realtà, a cui siamo abituati e che spesso trascorre “inosservata”, trova un nuovo modo di svelarsi e rivelarsi al pubblico e oggetti “banali”, visti dall’occhio creativo del suo autore, sotto le luci che lui stesso riesce a cogliere, assumono un significato totalmente diverso e profondo.
Gennaro Fusco, napoletano, classe 1960, come lui stesso racconta, fotografa fin da ragazzino: durante il suo primo viaggio in treno da Napoli a Zurigo, non riusciva fare a meno di osservare il «paesaggio lontano che scorreva fuori e le varie città, come bellissime istantanee incorniciate dal finestrino». Cosi, dopo un anno (ne aveva appena 16), riceve la sua prima macchina fotografica e inizia un percorso senza pause, in un continuo rinnovarsi anche delle apparecchiature. Nel tempo le sue macchine fotografiche sono state davvero tante e diverse ed è mirabile come le ricordi tutte con assoluta precisione a partire dalle analogiche compatte Agfa Autostar e Kodak Istamatic (1976-79) con il flash a cubo e stampe con colorazione vintage e di forma quadrata, per giungere alla Nikon D50 modificata ad infrarossi.
La scelta della fotografia per l’Artista nasce dal fatto che in essa vi ha intravisto qualcosa di misterioso da svelare nella realtà delle cose, che spesso sono impercettibili e riconoscibili solo nel tempo. Così, il suo stesso autore, si scopre attonito quando, a distanza di anni, osservando una foto vi scorge situazioni e sentimenti totalmente diversi. Senza dubbio la fotografia, soprattutto di tipo analogico (quando si stampava a mano attraverso rivelatore e fissaggio), ha un processo totalmente magico: lì nel buio silenzioso, con una flebile lampadina rossa nella camera oscura, il fotografo soffre nell’attesa di vedere la sua immagine, riportata tramite l’ingranditore sulla carta emulsionata e la comparsa è un’opera strabiliante e alchemica, che appare lentamente, con la stessa gioia e travaglio di un parto perché, di fatto, come Gennaro stesso afferma, quella foto è una sua creatura, la produzione della sua mente e delle sue emozioni.
Artista prolifico, che passa con disinvoltura dalla pellicola tradizionale, le diapositive cibachrome alle nuove apparecchiature digitali, utilizzando sia il colore sia il bianco e nero, in questa esposizione, attraverso la macrofotografia, Fusco è alla ricerca dell’aspetto occulto della realtà, cogliendo particolari che apparentemente non rivelano la vera natura degli stessi. L’autore ci mostra, in maniera inusuale, degli oggetti apparentemente insignificanti, ma dotati di quella poesia un po’ nascosta e misteriosa che lui riesce a trovare nelle cose. Così dettagli di chiusure lampo, coltelli, muri, palazzi, alberi, acqua e tanto altro, diventano forme astratte e pittoriche, motivi ornamentali che offrono la bellezza della struttura e della linea; è un nuovo modo di vederle, interpretarle e renderle all’occhio dello spettatore che si identifica stupito come un bambino. La fotografia per lui è esperienza soggettiva e intima, nella quale cercare il suo senso e l’anima nelle più piccole cose: è per questo che non può riprendere indiscriminatamente la realtà, ogni più flebile click della macchina va interiorizzato e meditato; non si tratta di mera perizia tecnica, ma di far suonare le corde del cuore… e l[/size][size=15]o scatto finale è solo l'ultima azione che compie. Non a caso, la differenza tra un vero fotografo e un “amatore”, sta proprio nel fatto di non sprecare tempo in scatti banali, nella cura per l’inquadratura e la luce, nel trovare un linguaggio proprio e personale.
A ben vedere, le opinioni in merito sono mutate parecchio da quando Walter Benjamin scriveva il suo famoso saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1892-1940): la fotografia, nata ufficialmente nel 1826 con Niépce e poi Daguerre e Talbot, cercava con fatica di annoverarsi tra le grandi arti quali la pittura o la scultura che riproducevano la realtà in pezzi unici. Nei secoli il rapporto tra autore e fruitore è notevolmente cambiato: se infatti prima c’era una sorta di timore reverenziale nei confronti della pellicola, e spesso si doveva attendere molto per vederne i risultati (che non sempre mantenevano le promesse degli intenti) ora, con l’epoca digitale, lo sviluppo è quasi un fattore secondario dal momento che le immagini vengono conservate in un pc e stampate solo all’occorrenza.
Nella nuova era telematica già all’istante possiamo dedurre se il prodotto sia all’altezza delle aspettative o correggerlo con programmi di fotoritocco; tutto ciò, se da un parte ha reso questa pratica alla portata di tutti, è pur vero che molti si sentono fotografi solo perché in possesso di una buona fotocamera con impostazioni automatiche.
Non dobbiamo infatti dimenticare che se il diaframma dell’obiettivo ricalca il sistema di funzionamento della nostra iride, c’è pur sempre un’anima, che pensa, sogna, ride o piange, ed è quella che è capace di incantarci e condividere con noi le sue emozioni. In questo caso è lo spirito etereo e delicato prima di tutto dell’uomo Gennaro che, se da un canto è sempre alla ricerca di nuove forme di espressione e sperimentazione, dall’altro non può fare a meno di emozionarsi e provare felicità e benessere nell’esprimersi con un linguaggio per lui imprescindibile e vitale, capace di farlo entrare in un mondo del tutto personale. E se è vero che «l'essenziale è invisibile agli occhi», le fotografie di Gennaro sono invece ben visibili dal cuore di tutti…
Per questa esposizione originale, la danzatrice Martina Coppeto ha ideato Labirinto, una particolare performance ispirata dalle foto dell’artista: immersa in scorci inediti della realtà che ci circonda, la sua immaginazione è sconfinata non nei classici “labirinti” fatti di siepi e piante di vario genere, ma in quelli virtuali o cybernetici, fantasticando al confine con la realtà e la fantasia. La danzatrice napoletana, formata in danza jazz, tip tap e canto, nel 2004 si trasferisce a Londra dove prosegue gli studi e entra a far parte come membro della compagnia Dance my way, diretta da Monoka Molnar. Si sposta poi in Francia per frequentare l’Accademia Off Jazz diretta dal Maestro Gianin Loringett, dove si dedica esclusivamente allo studio della danza contemporanea e si mette in gioco per la prima volta come coreografa. Rientrata a Napoli, continua la sua ricerca sul movimento e scopre l’anatomia esperienziale. Si perfezione sotto la guida di Claudio Malangone e Anna Nisivoccia, entrando a far parte della compagnia di danza contemporanea Borderline danza diretta da Malangone. Attualmente frequenta la scuola di mimo corporeo e commedia dell’arte presso l’ICRA project diretta dal Maestro Michele Monetta e insegna teatro-danza presso il laboratorio teatrale Delirio Creativo diretto da Raffaele Bruno. A gennaio sarà alla Galleria Toledo con Breviario del caos diretto da Enzo Marangelo.
Testo di Veronica Longo
Rassegna Stampa a cura di Rosalba Volpe
La mostra resterà aperta tutti i giorni dal 17 al 31 ottobre, dal martedì al sabato: 10.00 – 14.00 e 16.00 – 20.00; domenica: 16.00 – 19.30. Lunedì e festivi chiuso.
INGRESSO LIBERO.
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